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BAFFIN ISLAND - The North Face - Perfection Valley Expedition

8/12/2025

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Capisci che lassù deve fare veramente freddo quando arrivi in primavera e pure il mare dell’immensa baia di Baffin è ancora ghiacciato. Sulle basse alture omini di pietra servono da punti di riferimento per orientarsi e sono anche il simbolo della bandiera del Nunavut, il nome di quella immensa terra del Nord in Inuktitut - la lingua locale.
Lassù vivono gli Inuit, pescatori e cacciatori in origine, ora influenzati da chi vuole sfruttare le risorse naturali delle loro terre. Forse l’unica cosa buona che hanno portato gli occidentali è il campo da basket.
Noi alpinisti siamo pure elemento che ha modificato la loro economia, il viaggio per arrivare è lungo e lì, senza la conoscenza nomade della popolazione locale non potremmo mai arrivare alle pareti sognate.
Ci aggiriamo per le strade, i bambini ti sorridono e danno speranza, i teschi di tricheco ti fanno capire che ancora sono pescatori, ma le palafitte dove abitavano crollano a causa dello scioglimento del permafrost. Il cambiamento climatico sta alterando le loro vite, ecco che allora sono costretti a vivere in prefabbricati che distruggono la loro cultura.
Mi chiedo quanto i visitatori stiano influenzando la loro società. Noi alpinisti non andiamo a prelevare risorse naturali, andiamo ad esplorare le loro pareti, ma anche se inconsapevolmente siamo parte del processo di cambiamento di quella terra estrema.

Quando parti dal porto ancora ghiacciato di Clyde River e le barche sono lì bloccate, non ti resta che fare oltre che 8 ore di motoslitta. I piloti passano sopra neve e ghiaccio che si stanno sciogliendo, ma tu credi fortemente in loro, trust the locals!
Sulla via di quella che diventerà la nostra spiaggia gli Inuit ci insegnano a pescare gli scorfani, in sostanza tendono a mangiare qualunque cosa che si muove nel fondo, ma è un segreto.
Con noi sui carrelli abbiamo un campo base (tende, cibo, fucili, canne da pesca, generatore, miscela, computer, camere, …) per 7 persone che rimaranno lì isolate per più di 40 giorni.
Ah, dimenticavo, avevamo anche libri (di narrativa, ma anche sulla flora e la fauna).
Sì perché l’attesa per il bel tempo e la ricerca della parete sarà lunga e nel 2012 internet beh, non c’era mica lì e nemmeno si sentiva come ora la necessità di postare qualunque cosa. Bei tempi!

Si può partire a ritroso? Secondo me sì.
Come quando leggi la Lonely Planet alla fine del viaggio, a me è capitato. Scoprire le cose quando sei lì non è male, senza anticipo.
Poi va beh, non è che molti abbiano scritto su come sopravvivere in un Campo Base per 43 giorni su un fiordo canadese che prima è completamente ghiacciato, poi si creano fiumi dove meno te l’aspetti e finisce con sand flies che invadono la costa.
Per fortuna che la natura fa arrivare proprio in quei giorni un uccellino bianco e nero che per sfamare i nidicoli si riempie la bocca di quegli insetti pungenti.
Sono passati più di 10 anni da quel viaggio, ci sono state occasioni per passare attraverso le foto, ma c’è sempre una scusa buona per trovarne di nuove e metterle insieme per parlare di un’avventura che mi ha segnato per sempre.
Come quando - prima di uscire dal fiordo e tornare al villaggio Inuit in barca - c’era ancora il tempo per aprire e scalare delle vie nuove sulla parete vicina al campo base: la White Wall. Ecco che Riky, Iker ed Eneko hanno fatto una cordata, mentre io, Hans e Ben un’altra, per aprire due vie nuove su quel mare di roccia in quel mare amato da merluzzi e trichechi.
Ma come tutte le avventure bisogna tornare, per ripartire.

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    Matteo Mocellin

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    August 2025

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